passeggiaTE, 2014
testo di Franco Purini
Nel terzo ciclo Fabio Fabiani, sempre in lotta con la storia, che egli cerca di azzerare con una ricerca grammatologica nella quale la sola memoria possibile è quella dell’origine dei segni ma non del loro sviluppo nel tempo, mette in scena un conflitto tra presenze architettoniche primarie.
Le lamine incorporee di Bolè e i contrasti tra luce e ombra dei Notturni svaniscono lasciando un’esile traccia grafica. Al loro posto c’è ora una lotta silenziosa tra aste, tralicci, piattaforme isolate. Si tratta di parole architettoniche che si uniscono in frasi dal sapore ermetico nelle quali le affermazioni si rovesciano istantaneamente in negazioni. Il risultato è un certo numero di paesaggi artificiali tra costruttivismo e razionalismo che si perdono nell’orizzonte in una volontà di annullamento. Abilmente inquadrati come esemplari fotogrammi di un film di fantascienza, i frammenti di scrittura architettonica di Fabio Fabiani alludono a un tempo immobile che incorpora lo spazio in un’unità remota e misteriosa.
Pervasi da una forte carica entropica questi universi parziali sono per un verso altrettanti programmi-diagrammi di prossime architetture, per l’altro ruderi ideali di edifici già esistenti, soggetti a una poetica metamorfosi. Anche essi abitati da forme umane quasi nascoste dalle fragili superfici che esse percorrono.
testo di Pina Moneta
La prima tavola di passeggiaTe annuncia a gran voce l’inizio di un altro cammino: il salto è verso l’illimitato, l’incondizionato. Il limite ha qui… un’inversione di senso, piuttosto che delineare limitazioni si configura come limen, come threshold, luogo diveniente per eccellenza, luogo della creatività, luogo di “abbandono ad una nuova realtà”. Ed è proprio al punto limite che l’immaginazione creativa si dispiega nella sua forma più autentica e irrepetibile ed è in quel momento che l’immagine diventa “più intensa e limite più vero verso la realtà.”
La serie passeggiaTE è esplosione verso uno spazio ALTRO; percorso del tutto opposto ai Notturni. Esperienza affettiva dello spazio. Coordinate inapparenti e senza limiti. Ognuno dei momenti di questa serie pone il compito di riuscire a vedere quello che è difficoltoso da pensare. Si tratta di sganciarsi dalle griglie di concettualità tradizionali, scomporre categorie e tracciati di pensiero che sono alla base del senso di libertà all’origine di un mondo determinato e far emergere una libertà immaginativa, la libertà del puro possibile, non finalizzata alla possibilità di una comprensione.
Questi spazi non tendono ad accedere ad una dimensione utopica o immaginaria ma piuttosto aspirano ad una dimensione del tutto altra e cioè libera, essenzialmente irriducibile ad ogni localizzazione ma nella quale tuttavia hanno luogo accadimenti. Si tratta forse di uno spazio-tempo, dove lo spazio e il tempo nella loro primordiale unità sono distinguibili altrettanto quanto inscindibili, un altrove dove “cose non avvennero mai ma sono sempre”?
Ogni momento della serie – dalle verticalità memori dell’arcaico senso del sacro alle vertigini post-moderne cosi come dagli orizzonti galleggianti del mondo dell’azione, piano di estensione infinita – è percorso dall’annuncio di una possibile verità raggiungibile per vie altre da quelle del pensiero razionale. La libertà immaginativa qui celebrata è una libertà inedita e impensata, un altrove dove potersi inoltrare e incontrare l’inapparente, eppure possibile, altro da sé.