bolè

bolè

bolè, 2013

testo di Franco Purini

Nei disegni della serie Bolè Fabio Fabiani si è misurato con il tema di un’architettura aerea, un gioco di piani variamente articolati animati da sapienti forature. Questi elementi volanti possiedono un autentico talento coreografico. Essi danzano nello spazio accostandosi l’uno all’altro, distanziandosi, interrompendosi, incrociandosi. Creando suggestivi giochi d’ombra questi piani diafani e audaci suggeriscono l’esistenza di un’astratta abitabilità. Circondati o forse assediati da una nuvola di monadi sferiche le magiche figure planari sono percorse da figure umane che rinviano a sagome tra Giacometti e il fumetto, mentre l’impianto prospettico che costruisce il senso architettonico di queste lamine vibranti ricorda l’intensa spazialità delle composizioni metafisiche di Fabrizio Clerici. Ma anche in questo ordinamento di lastre quasi immateriali c’è anche qualche risonanza delle leggere sculture di Fausto Melotti.
Costruite e insieme decostruite queste architetture si sospendono tra il loro essere composte da superfici e il loro creare volumi incorporei che nella loro visualità sanno radicarsi stabilmente nella memoria. Gentili almeno quanto inquietanti le visioni di Fabio Fabiani descrivono un paesaggio ideale che cerca nel prossimo futuro di scoprire la concretezza.
Una delle figure umane è rappresentata come un vuoto in una delle pareti, come a ricordare l’assenza sia a volte più presente della presenza reale.

testo di Pina Moneta

Bolé, un passaggio, un transito: un evolversi e un precipitare di significati.
Stato di transizione che si configura e caratterizza nella sua dinamicità.
Il transito implica necessariamente il superamento di un limite. Che si nasconda forse attorno al “limite” il difficoltoso leggere di questa scrittura?
Nel mondo classico il limite era categoria razionale, con la finalità di produrre limitazioni.
Metteva l’individuo al riparo da pulsioni irrazionali, anche la bellezza era avvolta nella categoria del limite. Nella prospettiva post-moderna del superamento ad oltranza, l’architetto artista s’inoltra nelle complessità del profondo dove scopre un nuovo coraggio, una nuova forza e un nuovo ascolto per il transito, o forse il salto verso un orizzonte del tutto altro. E allora, quale senso il limite Bolè?
L’architetto-artista, tratta questa inconscia domanda, questo magma, con lo strumento teorico del suo mestiere. Linee spazianti ma che cingono vuoti senza spazi, piani che non s’incontrano, ma si attraversano, barre sospese e appena ondeggianti…figure attonite in precario equilibrio, aliene all’avvio di un passaggio o di un’azione. Il colore, il blu imperante e le sfere in discesa gaudente, chissà se per proteggere o ammonire.
Lo sguardo dell’osservatore pensante, non sa dove posarsi; il limite evoca qui la sua natura primaria di spazio anonimo tra due sponde, dove l’io può agire come realtà di confine, e dove affermare quell’autonomia che solo nella ribellione si riconosce come tale. Ribellarsi ad un limite vuol dire decidere per il salto.