Atlantide

Atlantide

Profezie nel mare

di Franco Purini

La serie di disegni di Fabio Fabiani, dal titolo Atlantide, è un vero e poema visivo sulla fine della città e sulla sua rinascita. Ispirata a una visionarietà inquieta, nella quale si ritrovano echi fantascientifici e risonanze storiche, nonché la suggestione dell’origine, le immagini del giovane architetto umbro emanano una fragranza mitologica mentre fanno trasparire, al contempo, un allarme silenzioso ma chiaramente avvertibile. Rivolte al futuro, queste architetture embrionali e insieme antichissime avvertono chi le osserva che il futuro stesso sembra in esse già compiuto, avviate quindi verso un prossimo e forse invocato dissolvimento. Per inciso va notato che il disegno digitale dell’autore dimostra che esso può avere lo stesso valore autografico e la stessa carica iconica e il medesimo mistero del disegno manuale.

Gli elementi architettonici che compaiono in queste tavole, alle quali il disegno digitale conferisce una tonalità graficamente sospesa tra evidenza ed evanescenza, sono nello stesso tempo frammenti di costruzioni scomparse e parti componenti, appena approntate, di edifici che forse saranno costruiti o, cosa più probabile, destinati a rimanere profezie inascoltate. Evocanti atmosfere minimaliste, con qualche accenno post-decostruttivista tali elementi, che si radunano sotto fragili incorniciature, rimandano nel gioco di aerei tralicci e nella geometria delle figure che essi sembrano imprigionare, alle magiche geometrie plastiche di Alberto Giacometti e di Fausto Melotti. Lo spazio in cui queste architetture impossibili abitano è lo spazio duale del mare e del cielo, due entità intrinsecamente indivisibili eppure unite in un binomio in cui la prossimità e la lontananza, l’acqua e le nuvole, la luce del giorno e l’ombra delle stesse presenze architettoniche giocano un ruolo centrale. Discendendo l’una dall’altra queste configurazione plastiche si definiscono nel minimo intervallo possibile tra il piano grammaticale e quello sintattico. Questi disegni dalle inquadrature attentamente calcolate, composti con magnetici equilibri, alimentati anche dal clima della metafisica con i suoi ingannevoli silenzi, dichiarano l’abbandono di ogni prospettiva immediatamente operante per darsi tempi di interpretazione e di eventuale realizzazione quanto mai dilatati, poeticamente tesi, internamente divisi tra presenza e assenza, sospesi tra la stendhaliana bellezza, “come promessa di felicità”, e il bello di Reiner Maria Rilke, “il tremendo al suo inizio”.